Mancava quasi un mese alla Pasqua. Io ero in attesa della mia prima figlia e quasi al termine della mia prima gravidanza.
Un giorno papà con una tristezza profonda nello sguardo, mi disse: “quando lo apriamo questo meraviglioso uovo di Pasqua?”
Raramente era triste il mio papà, perché sorrideva sempre anche quando aveva problemi e cercava sempre di risollevare chi gli stava vicino se aveva qualche preoccupazione.
Gli risposi: “perché hai fretta? Tranquillo, mancano pochi giorni”.
Morì subito dopo e io rimasi con il mio pancione a piangerci disperatamente sopra.
Quando strinsi tra le mie braccia la mia meravigliosa piccola non c’era il mio papà a gioire con me e io piansi tutte le lacrime che avevo.
Avevo attacchi emicranici terribili e aure continue.
Non sapevo cosa fosse un’aura e non sapevo cosa fosse l’emicrania.
Un giorno arrivò il postino e mi porse una ricevuta di raccomandata da firmare e io non vedevo nulla. Dovette pensare che fossi analfabeta.
Cominciai a preoccuparmi e decisi di andare dal migliore oculista della mia città. Ne parlavano bene tutti e lo apprezzavano a livello nazionale.
Ma lui non capì.
Non capì che i miei erano attacchi di aura.
Non capì che soffrivo di emicrania.
Non capì quando non riuscii a leggere le lettere da lontano.
Avevo solo nebbia davanti.
Mi corresse la miopia di due diottrie all’occhio destro, di ben due diottrie e, quando misi i nuovi occhiali per la prima volta, vomitai ancora di più.
I miei mal di testa, i miei attacchi emicranici mi perforavano l’occhio destro e io non capivo. Stavo male da morire ma non capivo.
Nessun medico capì.
Ero sola.
L’oculista mi disse che dovevo abituarmi ai nuovi occhiali e che non dovevo fare moine.
Avevo trent’anni e fu, tristemente, per un lungo periodo, l’inizio della fine.
By Vicky